Domestic Interior – secrecy and solitude

Interno domestico – segretezza e solitudine

Realizzato per la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, si intitola Domestic Interior – secrecy and solitude, il progetto fotografico di Fiorella Ilario che attraverso la messa in scena di un quotidiano elementare, si spinge oltre gli off limits e i divieti degli ambienti privati, per alludere alla condizione di isolamento e sofferenza spesso vissuta tra le mura domestiche, da donne che subiscono violenza fisica o psicologica. Come per la rifrangenza di uno specchio curvo riproduce le immagini deformate di un territorio chiuso e insondabile quale quello casalingo, che spesso nasconde ed altera la abituale relazione con se stesse e con il mondo. Nella immobilità della evidenza formale fotografica, la alienante gestualità di movimenti ripetuti meccanicamente, perde il suo valore funzionale per trasmettere una invisibile, incombente, febbrile circolazione sotto traccia, di sentimenti, angosce ed afflizioni. Dieci scatti in bianco e nero che hanno come unica protagonista la poetessa Elisa Biagini- soltanto nei primi due ritratta in un luogo pubblico (furono realizzati nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, nel 2006) come testimonianza delle aspirazioni e del vagheggiamento di un riscatto femminile attraverso emancipazione e conoscenza.
In tutti gli altri fotografata nell’ambiente circoscritto e familiare della cucina della propria casa, per una anamorfosi di quella “mistica della femminilità” che da millenni esibisce nascondendo e che ha consegnato la donna al valore normativo dello stereotipo materno della cura, del nutrimento, del lavoro domestico, ma che mostruosamente si trasforma in uno strumento segreto di distacco, esclusione, solitudine, nelle atroci circostanze di maltrattamento, abuso, violazione psicologica o fisica. Dunque da uno spazio etico di condivisione affettiva e di riparo, quale la casa dovrebbe per qualsiasi essere umano idealmente essere, alla deformante percezione di un claustrofobico luogo di sopraffazione e segregazione, per le donne vittime di violenza- che in molti casi rischiano persino di non riconoscerla come tale, restando isolate, sole con loro stesse, per la paura, il pudore, l’incapacità di chiedere aiuto. “Per la ragazza accade di accettare di farsi preda. Essa diventa un oggetto; si sperimenta come oggetto; ha la sensazione di sdoppiarsi invece di coincidere esattamente con se stessa, comincia ad esistere fuori di sé.
Scopre nello specchio una figura sconosciuta: è lei-oggetto sorta all’improvviso di fronte a se stessa” Come in questa descrizione tracciata da Simone de Beauvoire nel Secondo sesso, così in queste immagini si proietta una sottorealtà, quasi una visione subliminale fatta di sdoppiamenti, scissioni, deformazioni, multipli di sé nella celata, ambigua, tragica duplicità di reale/irreale, visibile/invisibile, esteriore/interiore, vita/morte.

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